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Abolire voti, giudizi e merito per una scuola buona e una società migliore
Pubblicato da Marcella De Carli
Sembra uno slogan un po’ datato. In effetti negli anni settanta il tema era al centro del dibattito pedagogico ma, nonostante le positive esperienze di scuole cosiddette “sperimentali”, nonostante la Montessori e Steiner, siamo ancora qui, nel 2015, a parlare di voti e merito.
Pochi giorni fa ho sentito maestre raccontare orgogliose di bambini della scuola primaria che tremano nell’attesa del loro voto. Altre replicare che sono contro il voto ma a favore del giudizio. Altre ancora sostenere che no, loro sono anche contro il giudizio e usano gli smiles, cioè le faccine (triste, seria, sorridente, super-sorridente). L’ultima è quella dei cuoricini che si vanno a comporre: da mezzo cuoricino fino a un massimo di cinque cuoricini interi “così la maestra è contenta”.
Pur nelle migliori intenzioni non riescono a riconoscere i riferimenti sottilmente ricattatori di una cultura basata sul senso di colpa, lontana dal rispetto dell’individualità di ciascuno e volta a creare dipendenza anziché autonomia.
Siamo schiavi del bisogno di giudicare e di correggere, nella scuola come nella vita, incapaci di aspettare i tempi e i modi dell’altro, tesi verso un’anelito di perfezione che non esiste.
“Qualunque cosa sia fatta nella scuola da insegnanti, da bambini o da altri, ci sono sempre errori. Nella vita della scuola deve entrare il principio che non è importante la correzione, ma il controllo individuale dell’errore, che ci dice se abbiamo ragione o no.(…)La possibilità di procedere consiste in gran parte nell’avere libertà ed una via sicura, ed i mezzi di dire a noi stessi se e quando sbagliamo. Quando riusciamo a seguire questo principio nella scuola e nella vita pratica, non importa che l’insegnante o la madre siano o no perfette. Gli errori commessi dagli adulti hanno un che d’interessante, e i bimbi simpatizzano con essi, in maniera però completamente staccata. Diventa per loro un aspetto della natura, ed il fatto che tutti possiamo sbagliare provoca nel loro cuore un grande affetto; è una nuova ragione di unione tra madre e bambino. Gli errori ci avvicinano e ci fanno più amici: la fratellanza nasce meglio sul sentiero degli errori che su quello della perfezione. Se uno è perfetto non può più cambiare: due persone perfette messe insieme per solito combattono fra loro perché non vi è possibilità di mutare e di capirsi.”
(Maria Montessori - L’errore e il suo controllo - da “La mente del bambino, pag.246/247)
Concretamente, viene da chiedersi, come faccio a sapere che ho sbagliato se nessuno me lo dice, se nessuno mi sottolinea gli errori con la penna rossa? Come faccio a sapere quanto vale il mio lavoro, a che punto sono, come migliorarmi se nessuno mi dà un voto?
Valutare non è giudicare. Valutare è riconoscere punti di forza e debolezze. Compito dell’insegnante è proprio questo: osservare, capire, verificare, correggere il tiro, mettersi in discussione e non stancarsi mai di proporre.
Il voto non serve a prendere coscienza di sé e delle proprie capacità. Il voto rischia di mortificare sforzi e minare l’autostima, soprattutto nei bambini piccoli, che non disgiungono il giudizio sulle loro capacità da quello sulla loro persona. “Io non sono capace, quindi io non valgo”. Oppure “Sono capace, quindi valgo”, altrettanto pericoloso.
Per esteso il concetto di merito riferito agli insegnanti sottende una visione identica, cioè competitiva, lontana dall’idea di scuola collaborativa, la scuola dello scambio di competenze e non quella della gara a dimostrare chi è il migliore.
La presa di coscienza delle nostre capacità, degli ambiti in cui ci esprimiamo meglio, ancora più semplicemente di ciò che ci piace, è un percorso lungo, a cui molti adulti non arrivano mai proprio perché costretti in aspettative, giudizi e pregiudizi esterni. Ci ritroviamo così in una società di persone fragili, insicure, incapaci di sostenere le proprie idee senza conflitti o di accettare le opinioni altrui senza sentirsi giudicate nel profondo.
Bisogna dunque pensare un percorso, concreto, in cui la valutazione non corrisponda al voto e in cui l’autocorrezione e l’autovalutazione siano i cardini del percorso didattico.
Esistono materiali d’apprendimento che contengono intrisecamente la correzione dell’errore, ma è l’atteggiamento dell’adulto che fa la differenza. Ho visto interventi correttivi anche sulla scelta del colore in un disegno libero di bambini di tre anni.
Per abolire i voti è necessario ripensare la scuola della lezione frontale uguale per tutti con gli alunni seduti al banco. Bisogna rivedere il ruolo dell’insegnante che da docente-ammaestratore diventi regista. Il bravo insegnante è mediatore, non trasmette informazioni ma stimola i processi intellettivi del bambino.
“un bravo insegnante è come un buon jazzista, che deve avere la capacità di improvvisare una bella musica, usando solo poche note”.
Reuven Feuerstein
Ma prima di tutto è necessario chiedersi se la nostra vuole essere una società libera e realmente democratica, se siamo interessati a sviluppare talenti e a promuovere le capacità di tutti o se piuttosto questo giro di vite verso la meritocrazia e l’accentramento di potere, non siano chiaramente indice di un Paese che vira verso la competizione piuttosto che verso la cooperazione, che ha scelto come riferimenti morali il modello del più forte anziché quello mutuo beneficio.
Potere del web
Pubblicato da Marcella De Carli
E’ iniziato tutto ad ottobre quando, in preda all’ansia da tagli gelmontiani, ho pensato ad un’alternativa alla mia vita, non solo milanese, quanto italiana. Così, due parole su google (”montessori spagna”) e sono capitata in un mondo nuovo. Lo stesso giorno una ragazza francese che vive a Valencia aveva aperto un thread sul forum di un sito dedicato ai genitori in cui si proponeva per un confronto sul metodo montessori…
Ad oggi i thread sono diventati quattro ed è stato aperto un blog e, cosa assai più interessante, ci sono stati già due incontri, due “charlas”, una a Madrid e l’altra, a cui ho appena partecipato, a Barcellona.
Chissà che anche in Italia non riesca a nascere qualcosa di analogo…
Il memorandum della maestra montessori
Pubblicato da Marcella De Carli
Il memorandum è un documento che Maria Montessori scrisse nel 1930/31 nel quale vengono esplicitate le regole di comportamento a cui si deve attenere la maestra montessoriana; è stato riadattato (a cura di Costanza Buttafava) in modo da renderlo attuale nella forma, ma senza alterarne il contenuto.
Curare l’ambiente minuziosamente, affinchè si presenti pulito, ordinato, riparando anche alle conseguenze dell’uso
Più i bambini sono piccoli maggiore deve essere il richiamo all’attenzione e alla cura quotidiana, poiché si verificherà che se per prima la maestra sarà attenta all’ordine e alla precisione dell’ambiente a lei circostante, di conseguenza il bambino assorbirà e farà sua tale modalità.
Inoltre “…nell’ambiente del bambino tutto deve essere misurato oltre che ordinato, e…dall’eliminazione di confusione e di superfluità nascono appunto l’interesse e la concentrazione.” (Maria Montessori - Libera scelta - da “Il segreto dell’infanzia”, pag.162)
Insegnare l’uso degli oggetti: far vedere come si compiono le azioni della vita pratica, con dolcezza ed esattezza, affinchè tutto quanto nell’ambiente possa essere utilizzato da chi lo sceglie
Nulla va dato per scontato, ogni cosa deve essere insegnata, altrimenti non potrà essere fatta nessuna richiesta al bambino; tutto ciò che risulta essere alla portata del bambino deve essere da lui conosciuto bene e quindi gestito autonomamente.
Essere attivi nel mettere il bambino in rapporto con l’ambiente, passivi quando il rapporto è avvenuto
Tutto ciò che è nell’ambiente è a disposizione del bambino, alla sua portata ed egli è libero di utilizzarlo. Una volta messo il bambino in rapporto con l’ambiente è necessario che la maestra lo lasci fare, concedendogli anche di sbagliare, e che osservi, cosicchè ci sarà un momento successivo per poterlo affiancare e per riprendere gli aspetti che contenevano errori:
Interferire è togliere fiducia, è confermare la sua incapacità, significa contribuire a rendere il bambino insicuro.
Osservare il bambino, perché non sfugga lo sforzo vano di chi cerca un oggetto nascosto e l’ansia di chi ha bisogno di sostegno
L’osservazione è strumento prezioso che permette di entrare in sintonia e di capire certe manifestazioni del bambino.
Accorrere dove si è chiamati
Ascoltare e ricambiare dove si è invitati
Spesso l’adulto desidera fermarsi a lungo accanto al bambino con cui sta lavorando; è necessario invece essere mobili e non lasciarsi tentare dal mettere in atto comunicazioni a distanza con altri bambini che richiedono l’intervento della maestra: tale modalità disturba e smentisce il richiamo fatto dal bambino con cui in quel momento non si sta lavorando.
Rispettare il lavoro senza mai interromperlo
La maestra deve rispettare il lavoro del bambino senza interromperlo e, nei casi in cui si trova di fronte alla necessità di farlo per esigenze organizzative, deve premurarsi di preavvisare i bambini del fatto che il lavoro dovrà essere interrotto: ciò che il bambino ha scelto liberamente è frutto di una sua maturazione, perciò il suo lavoro non potrà essere sminuito da un’improvvisa interruzione.
Rispettare chi si riposa o guarda gli altri lavorare, senza richiamarlo ed obbligarlo al lavoro
Prima di richiamare al lavoro un bambino, la maestra montessoriana lo osserva per capire quale sia la motivazione che lo spinge al riposo; è cosa inutile obbligarlo ad interrompere la sua pausa, poiché il lavoro obbligato non deriva dalla sua libera scelta. Dunque risulta inutile il giudizio a priori.
Spesso i bambini osservano e in questo modo apprendono dal lavoro degli altri.
Rispettare chi sbaglia un lavoro, senza l’ansia di correggere subito, perché ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo
L’adulto è spinto dall’istinto di correggere gli errori: è preoccupante il bisogno di intervenire subito, come se l’errore fosse un marchio indelebile.
Se un bambino persiste in qualche errore, l’aggiustamento verrà ripreso in un momento successivo, non quando ha appena terminato il suo lavoro e magari ne è soddisfatto: il rischio è quello di spegnere l’entusiasmo che lo ha spinto, di distruggere gli aspetti emotivi che guidano il suo desiderio di lavorare. Inoltre spesso la correzione è carica di ansia, che spaventa il bambino.
Succede di assistere a correzioni che i bambini si fanno tra di loro e, non di rado, nel loro agire, si mostrano molto severi; si rende necessario allora l’intervento che faccia percepire il concetto di rispetto, della persona e del suo lavoro.
La maestra deve essere un esempio di delicatezza nei confronti dei bambini quando si troverà a correggerli.
Essere instancabili nel ritentare di offrire oggetti a chi già li respinse, ha chi ha imparato e sbaglia
Può essere considerato come un “esercizio spirituale”, in cui ci si trova a cercare tutte le possibili modalità per ripresentare quell’oggetto che per qualche motivo è stato respinto.
Si deve animare l’ambiente con la propria cura, mettendo in evidenza il materiale in modo diverso.
L’atteggiamento non deve mai essere offensivo; la maestra deve saper trasmettere un forte desiderio di fare arrivare il messaggio al bambino, puntando sul legame che ha creato con lui, magari rimanendo in un silenzio intento, cioè carico di preoccupazione (ma non di parole pericolose) facendogli sentire la considerazione in cui lo tiene e con la pazienza di chi ama.
Far sentire la propria presenza a chi cerca, nascondersi a chi ha trovato
Si deve sempre focalizzare l’attenzione su chi ne ha maggiormente bisogno
Apparire a chi ha finito il suo lavoro e ne ha compiuto liberamente lo sforzo, mostrando in silenzio la nostra approvazione
Il bambino deve trovare piacere nello svolgere il lavoro, non deve farlo per compiacere l’adulto e questi non dovrà cercare la sua soddisfazione gratificandolo.
Talvolta è funzionale alla preparazione emotiva del bambino se gli si dà l’approvazione prima che inizi a lavorare.
La vera differenza montessori: la libera scelta del bambino
Pubblicato da Marcella De Carli
Che cosa mi fa pensare che nel pensiero Montessori ci sia qualcosa di speciale che lo porta ad essere sempre ad un livello superiore rispetto ad altri “metodi”? Intanto il materiale geniale, l’atteggiamento defilato che l’adulto deve tenere mettendosi da parte ed imparando ad osservare , l’ambiente preparato e continuamente adattato alle esigenze…ma una volta date tutte queste cose ciò che davvero cambia radicalmente la prospettiva è la “libera scelta”, cioè l’idea che il bambino sia in grado di autoeducarsi, di seguire un proprio percorso partendo da ciò che è l’interesse che lo muove in quel determinato momento. In questo senso il “metodo” diventa un aiuto alla vita che si svolge in ogni bambino.
Bisogna vederlo realizzato per credere che si possa fare, ma non è così complicato come si immagina.
Nelle scuole “comuni” dove tanto si parla di individualizzazione dell’insegnamento (meglio, dell’apprendimento) si potrebbero mettere in atto alcuni semplici spunti montessoriani, come quello del lavoro libero, che non equivale a del tempo in cui ognuno fa quello che vuole, ma a delle ore in cui i bambini scelgono tra varie proposte quella che desiderano sviluppare. Si possono preparare schede (montessorianamente si chiamano “comandi”) in dei raccoglitori divisi per materie; i bambini scelgono il lavoro che desiderano, lo eseguono, l’insegnante è a disposizione, osserva e aiuta se le viene richiesto.
Sembra cosa da poco, ma presuppone un atteggiamento dell’adulto completamente nuovo rispetto a quello a cui molti sono abituati, perchè bisogna sapere mettersi da parte e non pretendere più di essere il centro del processo educativo. Per la mia esperienza di maestra l’umiltà verso il bambino e il riconoscimento delle sue capacità di apprendimento a prescindere dalla “lezione” sono ancora di pochi.
Ho scoperto l’homeschooling
Pubblicato da Marcella De Carli
Da un po’ di tempo ho contatti con donne spagnole, madri e maestre, che si scambiano pareri e consigli su questo forum. Ho scoperto che in Spagna è piuttosto diffusa la scuola in famiglia, cioè l’idea di non scolarizzare i propri figli in maniera “istituzionale”, ma organizzare la scuola in casa. In Spagna è in discussione una legge che regolamenti questa prassi, in Italia c’è da sempre, ma non conosco realtà che la applicano. Cercando un po’ sul web mi sono fatta l’idea che i pochi casi siano per lo più legati all’ambito cattolico, ma attendo smentite. Ho trovato il blog di una ragazza italiana che racconta la sua esperienza (in Francia), interessante.
Non so bene che opinione avere, certo che in me è molto forte l’idea di una scuola che piuttosto che “tirar fuori” rispettando l’identità di ciascuno tende ad “intruppare” omologando. Siamo ancora tanto lontani dal rispetto del bambino per la persona che è, da una scuola che liberi gli interessi e che non viva di ansie da prestazione….
Se la scuola che immagino io (magari una vera scuola montessori) ci fosse per tutti, per me l’homeschooling non avrebbe grande ragione di esistere, perchè io amo l’idea che i miei figli passino il loro tempo con persone che altrimenti non avrebbero occasione di conoscere; il fatto che Marte abbia come compagna di banco una bimba che vive nel campo nomadi è per me una risorsa, così come il fatto che Sebastiano sia “fidanzato” con una bimba marocchina. E’ un valore aggiunto anche il fatto che i bambini scelgano come riferimento un adulto diverso dal modello familiare. Insomma la diversità come valore la si impara meglio in un contesto come quello della scuola, a patto che però sia rispettata l’individualità di ciascuno.
Nella scuola che conosco è ancora troppo facile rivolgersi al gruppo anzichè considerare le necessità del singolo. La tanto declamata socializzazione avviene realmente se ognuno può portare sè stesso tra gli altri, se viene coinvolto nelle decisioni che riguardano la propria persona e il gruppo di appartenenza, mentre è ancora assai diffusa la mentalità (cattolica) del rispetto delle regole dettate dall’alto, del sacrificio del singolo per il bene di tutti.
Un esempio classico è quello che succede in prima elementare quando ci sono spesso bambini che arrivano sapendo già leggere e altri che invece mostrano fatica e per mesi agonizzano sulle sillabe; ecco, io mi chiedo che senso ha portare avanti un lavoro di gruppo-classe sulla lettura con gli immancabili casi dei bambini che non riescono a leggere e che davanti a tutti sentono sottolineata la loro difficoltà, mentre quelli che hanno già avuto l’esplosione della lettura e sentono il bisogno di leggere e leggere e leggere (per i bambini è una necessità quasi fisiologica imparare) se ne devono stare lì ad aspettare che il compagno riesca a pronunciare la parolina….e magari a quelli che già sanno leggere gli scappa un suggerimento, perchè, poveracci, non ne possono più….e allora ecco piombare su di loro la MORALE……”non si fa! coma fa pippo a imparare se tu gli suggerisci?”. Ecco che Pippo si sente un imbecille mentre al suggeritore nessuno toglie una buona dose di senso di colpa. Non sarebbe meglio percorrere davvero altre strade? In tutti I POF (piano dell’offerta formativa) delle scuole che conosco si parla di individualizzazione dell’insegnamento, ma questa che cos’è?????
In una buona scuola Montessori queste cose dovrebbero essere date per scontate, ma anche lì non sempre è così.
Ecco allora che ritorna il fascino di un’idea alternativa radicale come quella di farsi la scuola da sè. E, ammetto, ho avuto un momento, l’anno scorso, in cui ci ho pure pensato…..